Maschera e abito religioso

Giu 10, 2023 | Volti e maschere nell'arte

Alla parola maschera si attribuisce il significato di un volto artefatto con tratti umani o animali di solito aventi fori per occhi e per bocca, indossato per proteggere il viso e l’aspetto di chi le riveste per diverse finalità.
L’etimo del termine maschera è tanto incerto quanto indiscusso poiché tale oggetto racchiude una storia più vetusta di tutte le lingue presenti nel mondo; le più antiche maschere ritrovate – infatti – sono del Neolitico preceramico – circa 9000 anni fa – e sono scolpite nella pietra. La radice del termine maschera, tuttavia, può essere fatta derivare da masca, un lemma che parla di nero, scuro e fuliggine. Poiché il volto ha un’importanza antropologicamente vasta, mettere un volto finto sopra il proprio è un’azione che coinvolge aspetti primari di molte civiltà. Il fine che può avere una maschera è svariato: rituale, magico, funereo, giocoso, bellico, spaventoso, eccetera; in tutti i casi è caratterizzante di ciò che l’attore deve agire nella scena. Mediante la drammatizzazione, soprattutto in Italia, la maschera assume una importanza tale da indicare una sorta di camuffamento che identifica la persona stessa.
La maschera è connotata da due elementi significativi: ciò che viene schermato, ossia colui che è mascherato, e ciò che viene mostrato ossia la maschera stessa e quello che essa rappresenta. In questo dualismo di significato troviamo l’alternarsi costante di mistificazione e rivelazione, cambiamento e convenzione, come anche un rimando continuo a realtà ultraterrene, ad entità divine e soprannaturali; questo spinge a pensare che colui che indossa la maschera diviene il tramite attraverso cui queste entità sono rese palesi e visibili: egli si trasforma totalmente in qualcos’altro, la sua identità, il suo volto e il suo corpo sono assorbiti per far posto a un altro corpo o a un’altra presenza che è quella rappresentata dalla maschera stessa.
Tutti sanno che dietro la maschera e il costume rituale è nascosto un essere umano: alla luce di quest’ultima interpretazione è possibile accostare alla maschera l’abito sacro. L’abito religioso, esattamente come la maschera, non è e non fa il religioso (così come la maschera non fa l’attore) ma ne definisce esteticamente ed esteriormente l’identità, il comportamento, l’appartenenza. L’abito non è un oggetto, come la maschera, ma un habitus che definisce un’appartenenza, un’attitudine interiore che esprime – a sua volta – la profondità di una scelta di vita fatta con e per amore. Così come ogni attore ricoperto della maschera ha il dovere di interpretare colui che la stessa raffigura, così ogni religioso rivestito dell’abito, ha la responsabilità di mostrare una realtà altra, una Persona altra e – in questo essere avvolti di un tessuto – si è simbolicamente contenuti e circondati di una pelle e di una carne che sono la pelle e la carne del Dio a cui si appartiene.
Non c’è un intreccio tra mitologia e religione, tra maschere e abito, ma – quest’ultimo – diventa simulazione e mascheramento se indossato come ostentazione del sé o diventa habitus se portato come parte di sé.
Tutto passa sulla scena di questo mondo, diceva San Paolo apostolo, e si chiude il sipario:

Grande tendone,
di diversi colori,
domina la scena
prima del suo inizio.

Quel tendone
è un dolce rifugio
per l’uomo che, dietro a quel sipario,
cela le sue emozioni
ed indossa la maschera
dell’uomo fallace o perfetto.

É solo il sipario a dividere
l’emozione dell’attore
dal giudizio dello spettatore.

Se non ci fosse il sipario,
l’uomo non sarebbe più attore,
perché non potrebbe mostrarsi diverso
ma solo, e sempre, se stesso.

Il sipario in scena dona forza e vigore
a quell’uomo che, per tutti, è un attore
e – per se stesso –
è un cuore che pulsa e che batte
per dare senso alla sua vita,
recitandone i misteri,
le gioie e gli intrighi.

Sipario,
tendone maestoso,
che come sacrario raccogli i segreti più nascosti
dell’uomo attore,
separalo dal suo spettatore ma mai da se stesso,
perché – senza se stesso –
è una maschera che risuona senza lasciare la scia
di una vita spesa nell’arte
a gloria dell’Eterna Bellezza.

Melisa Palumbo, suora passionista, poetessa e autrice di libri.
Frequenta il Master in Counselling Socio-Educativo
dell’Istituto Nino Trapani di Neuroscienze e Gestalt Therapy