“Quella danza che fluisce verso l’alterità” di Dario La Ferla

Mag 25, 2024 | Senza categoria


Partendo da un’esperienza di danza primordiale, basata su un ritmo etero-indotto, riflettente il ritmo del polso cardiaco o carotideo personale, è possibile rivivere una originale forma di danza. Quella che sperimentiamo, alle origini della vita individuale, attraverso l’incontro sinestesico ritmico con il gesto materno. Che è accudimento ma che è anche fonte di confluenza fusionale tra madre e bambino. Il vissuto di dondolamento, del cullare, stereotipico, ripetitivo e inducente uno stato di fiducia e quindi di distensione, è anche primaria esperienza-ponte verso l’altro da sé. Il riconoscimento da parte della madre del ritmo endogeno del bambino, è, di fatto, un primo riconoscimento identitario, di bisogno primario. Nel riconoscimento e nella sua danza, i corpi si fondono. Soggetto ed oggetto sono armonica fusione d’amore.
Essere mossi in una esperienza di unificazione e con-fusione tra lo stimolo corporeo esterno al proprio limen somatico e il piacere del movimento che spontaneamente si armonizza, è esperienza di contatto nel desiderio e nel bisogno originale alla relazione, condizione anche assimilabile a contesti ipnoinducenti e a stati gestuali e comportamentali sterotipici, tanto in patologia quanto nell’uomo comune. L’abbandono che ne deriva conduce all’apertura e alla disponibilità ad “essere mossi da”. A volte a stati di possessione finanche a condizioni di dipendenza psicofisica.
Nella danza il movimento ripetitivo e fusionale all’oggetto ispirativo permette di incarnare l’essenza ispirativa e di tradurla come espressione psicosomatica. La dualità ripetitiva, nella danza, conduce a stati di trance di possessione corporea. Ma anche a stati psicofisici legati al sentimento religioso (ad esempio i dervisci rotanti o la danza sciamanica Hadra tunisina). La confluenza con lo stimolo evocativo prima ed evocato poi, può corrispondere a gradazioni ennesime fino a divenire, come nell’atto tersicoreo del coreuta del/nel coro tragico, fusione di soggetto e oggetto, di parola e gesto, di corpo artistico e corpo tragico. Questa condizione necessita di uno stato di alterazione, abbandono, offerta di sé, apertura psicofisica: essere mossi, attraverso uno stato psicomotorio in alterazione … dalla divinità invocata così evocata. In quello stato ponte, di attraversamento corporeo dell’incontro con la parola creativa che coniuga il teatro del sacro, i corpi in scena assurgono ad uno stato di alterazione, pontici verso la trasformazione dell’artista tra finzione e realtà, conduttori dello spettatore vivente in quello stato pervasivo che è lo psicodramma collettivo del teatro del tragico. Quel meraviglioso ponte atemporale artistico che rimane imperdibile cerimonia di vita.

Dario La Ferla, coreografo e docente di teatrodanza presso l’Accademia nazionale del dramma antico – Inda, danzaterapeuta, neuropsicomotricista